I Meli di Avalon nasce come cerchio prevalentemente femminile nel quale riunirsi per studiare, vivere e sperimentare insieme le Vie di Avalon, ovvero quei percorsi sacri che si radicano nelle tradizioni celtiche femminili, nella mitologia celtica e nella materia bretone.
Come tanti dolci e succosi frutti nati dalle mani, dall'amore e dall'ispirazione di molte donne.

lunedì 3 agosto 2020

Il Ricordo delle Antenate

Raccontano le sapienti anziane dagli occhi ridenti, che vi è un tempo adatto ad ogni cosa, e non tutti i tempi sono buoni per le stesse cose. Ci sono tempi adatti ad ascoltare, a intuire e a imparare, tempi per cantare e raccontare, ci sono tempi buoni per seminare e per coltivare, tempi per raccogliere e conservare, per condividere e tramandare; e ci sono tempi per ricordare.
Durante i primi giorni del raccolto, quando il grano indora i campi mossi dal primo vento del cambiamento, quando il sole tramonta oltre le colline e sparge i suoi raggi d’ambra fra le spighe mature; quando il primo refolo freddo porta con sé il profumo di foglie secche e legna bruciata, e avvolgendoci per un brevissimo istante ci porta indietro, tanto indietro da farci ritrovare memorie che non possono appartenere a questa vita; questo è il Tempo del Ricordo.
Antichi volti femminili dai bei lineamenti prendono forma fra le radici delle vecchie querce, custodi delle saggezze impronunciabili. Alte figure incappucciate sembrano muoversi lentamente nel sottile velo della nebbia mattutina. Una barca trasparente solca le acque di un lago, si avvicina alla riva e poi scompare oltre un’onda… eppure lascia segni d’approdo sulla sabbia bagnata.
Sono le Antenate, che ritornano nei ricordi delle donne che vivono ancora. Antichissime ave che conoscevano i misteri del respiro e della morte, e pronunciavano le parole e i canti che aprono le porte segrete e tramandano il sapere delle origini. Nonne canute, tanto sagge quante erano le rughe che solcavano il loro volto, poiché in ogni ruga era impresso un insegnamento ricevuto. Madri dal sorriso gentile e figlie dagli occhi gioiosi, che a prescindere dalla discendenza di sangue sono legate da un sottilissimo eppure infrangibile filamento d’argento, che tutte accomuna, che tutte rende simili, e permette di Ricordare.
Il Ricordo delle Antenate non appartiene alla memoria di ciò che si ha appreso e vissuto qui e ora, ma è un ricordo che attraversa tutti i tempi e rimane impresso nella memoria dell’anima. Ovunque siamo, e in qualsiasi tempo abbiano vissuto loro, noi le ricordiamo, e il ricordo porta con sé un dolce e struggente amore senza inizio e senza fine che ci lega a loro.
Donne antiche che nel corso del loro cammino hanno impresso nella terra le impronte del loro passaggio, della loro esistenza, di ciò che dalle voci della natura avevano udito e compreso. Anime luminose che appartengono al passato, ma che percepiamo come fossero l’eco di un canto rimasta impigliata in un soffio d’aria pura, la nota di una melodia perduta appena suonata, che seppur conclusa, lascia traccia di sé nel vento che ci accarezza i capelli, e ci permette di Ricordare.
Le chiamiamo madri, le chiamiamo nonne e addirittura figlie, e forse un tempo è stato così. Non sappiamo i loro nomi, non sappiamo i loro volti, non sappiamo la loro voce. Ma le ricordiamo, e il ricordo è quanto di più prezioso possiamo conservare, trattenere e tramandare, poiché solo ricordando ritroviamo quel filamento d’argento che ci unisce a loro, e comprendiamo di essere la loro Discendenza.

In tempi perduti, le Antenate venivano sempre onorate dalle viventi. Donne ammantate delle brume crepuscolari, indistinte tutte insieme, e tanto simili nel calar della sera da sembrare tutte uguali, accendevano pire di legna e nella luce danzante dei fuochi sacri pregavano per loro, cantavano i canti, pronunciavano le parole, tracciavano i segni. Piangevano le loro lacrime se il peso della nostalgia gravava sui loro cuori, ma poi a lungo sorridevano, scrutando nelle braci la visione di ciò che era stato, e che sempre sarebbe vissuto nella loro memoria. Gioivano di quella visione, e quando tutto finiva, sapevano che le Antiche erano accanto a loro. (1)
Nonne, madri e figlie, tutte unite insieme perché ogni donna era tale per le altre, e tutte erano sorelle. Sorelle che erano andate via per sempre, ma che non per questo erano perdute.
Così i fuochi accendevano la notte di tremolanti bagliori scarlatti, il fumo resinoso si innalzava verso le stelle, e le Donne contemplavano il ricordo.

***

Le antenate ci parlano, Kulìa, lo sai. Ci insegnano, ci guidano, ci proteggono. E sono venute prima di noi. (…)
Qualcuna sarà sempre l’antenata di qualcun’altra, finché ci saranno nascite. Quando io tornerò alla Dea non me ne sarò andata per sempre, continuerò ad esserci. E così è per tutte, per tutti. Tu potrai parlarmi. È un filo che non si può interrompere. Lo si può perdere ma lo si può ritrovare.”

(Sara Morace, I racconti di Domani, Prospettiva Edizioni, Roma, 2008, p. 42)


Lo spirito delle Antenate

Nelle antiche tradizioni europee e in particolare celtiche, le Grandi Antenate erano le Madri divine, le Matronae che sovente si trovano raffigurate come bassorilievi su steli votive mentre danzano tenendosi per mano, con le braccia intrecciate le une alle altre, le lunghe tuniche drappeggiate, le morbide acconciature e, spesso, d’aspetto talmente simile le une alle altre da sembrare tutte una sola. Come personificazioni della Terra generosa e fertile, esse sono le dispensatrici dell’abbondanza simboleggiata dai frutti succosi e dai cereali che spesso sono scolpiti accanto a loro, sono foriere dell’armonia e della gioia rappresentate dalla loro danza, dell’amore e della limpida sorellanza fra donne, e sono protettrici delle partorienti e del focolare domestico, associate al culto degli antenati famigliari. (2)
La loro venerazione era fra le più antiche e più diffuse, ed esse erano considerate anche le custodi delle leggi della natura e delle antiche armonie dei tempi passati. Erano le guardiane dei tumuli incantati, delle soglie liminali poste laddove i due mondi si incontrano, delle isole sacre nascoste oltre le nebbie del visibile. Erano le nove sorelle che la leggenda racconta vivessero nei divini frutteti oltremondani, e vegliavano il sacro Calderone dal fuoco sempre acceso, simbolo delle vie iniziatiche e dei Misteri femminili.
Ma la loro magica presenza si rifletteva anche in quelle donne che erano riuscite a ricongiungersi con loro e ne erano divenute espressioni viventi, portando nel mondo la loro saggezza e dando voce alle loro parole.
Le Antenate, infatti, erano e sono tuttora le Madri Divine, ma anche tutte le loro figlie vissute, e forse ancora viventi, sulla terra. E “tutte sono Sorelle nella Dea, tutte sono Figlie di Modron”. (3)

Ma se lasciamo libera la voce del cuore, se pensiamo a loro e proviamo a ricordarle, attingendo alla nostra interiorità, chi sono ai nostri occhi le Antenate?
Le Antenate sono coloro che sono venute prima di noi e hanno tracciato, percorso e ripercorso gli antichi sentieri della conoscenza femminile, onorando la Natura come sacra espressione della Madre divina, celebrando i suoi riti sacri e diventando depositarie della sua luminosa verità. (4)
Sono le vecchie e giovani donne che vivevano a contatto sia esteriore che interiore con essa, semplici e spontanee come lo è lei, belle e armoniose come lei insegna ad essere alle sue figlie. E loro lo sono state, figlie di Madre Natura e della candida Luna che guarda amorevolmente la terra e diffonde tutt’intorno la sua luce benedetta.
Loro sono i nostri pilastri ancestrali, e si fondono con la Dea, l’Antenata primigenia, la Grande Antenata. Poiché tutte le Donne Antiche che hanno vissuto nel suo sogno, seguendo i suoi moti, sono divenute lei stessa.
E così la Dea è la Terra, la natura, il canto profondo, ogni elemento, ogni matrice, ed è le Antenate.
Sentire loro è come sentire lei, perché loro sono il suo riflesso, la sua essenza resa tangibile nel mondo tramite i loro corpi, le loro azioni, i loro manufatti, le loro pitture, talvolta le loro parole.

Le Antenate sono coloro che non ci sono più, ma che ci hanno lasciato qualcosa.
Nostro è il compito di Raccogliere ciò che loro ci hanno lasciato per farlo rivivere in noi e, dove possibile, portarlo nel mondo.
Loro sono il fuoco sacro del nostro ventre, che dobbiamo proteggere, conservare, alimentare e spargere a nostra volta nel mondo.
Sono lacrime di commozione che scendono piano sulle guance e, come l'acqua fertilizza i campi, esse fertilizzano il nostro cuore e ci aprono a Loro.
Il modo migliore che abbiamo per onorarle, e per onorare la Dea, è cercare il più possibile di agire come loro avrebbero agito, anche se le condizioni della società moderna cercano in ogni modo di impedircelo. Dobbiamo trovare le nostre armi all’interno di noi stesse e combattere contro il nostro ego, contro ciò che il mondo moderno vuole che diventiamo. Ed è una lotta dura, ma è lo scopo della vita. E riempie di gioia.

Le Antenate sono le vecchie, nascoste, nodose radici che danno forza e stabilità a tutto l’albero, e che sottoterra, invisibili, consentono il passaggio della vita fino all’ultima giovanissima foglia.
Ricordarle è riconoscere da dove veniamo, comprendere dove siamo e scrutare dove andremo, disegnando sui loro passi una scia che sia visibile a coloro che, dopo di noi, si incammineranno per lo stesso sentiero.
Loro sono un continuo richiamo ad una vita vera, che è fatta di cose buone e non buone, di luce e di buio, di ciò che è bello e di ciò che è brutto. E in questo sono le guide verso l'equilibrio.
Sono coloro che ritrovarono la propria vera e pura essenza lungo la Via che conduce alla Madre. Quella stradina incantata, sempre uguale eppur sempre diversa, che già molte volte fu battuta dai piedi delle innumerevoli Donne che cercarono di giungere di nuovo a Casa… e vi riuscirono, lasciando orme che sono rimaste impresse nella terra.
Orme che sono incoraggiamento e insegnamento, consiglio e aiuto per chi quella stessa strada di nuovo vorrà seguire e ripercorrere. Orme che sono stelle lucenti che indicano la giusta direzione.
Semi luminosi che possiamo raccogliere, piantare, innaffiare, nutrire, curare e difendere dalle erbacce, cosi che possano germogliare donandoci Fiori profumati e dolci Frutti, dai quali potremo trarre nuovi semi. E questi semi ci daranno, un giorno, Fiori ancora più profumati e Frutti ancora più dolci.

Le Antenate sono le nostre ave Primordiali, ma i loro volti si fondono con quelli delle donne a noi più vicine. Le nostre madri e le madri delle nostre madri, e tutte le donne che anche inconsciamente scegliamo come punti di riferimento, sono coloro che trasmettono la Memoria.
La Memoria delle Storie, di come si crea, si ama, si tramanda.
Quello delle Antenate è un archetipo, un volto in cui confluiscono tutte coloro che Insegnano qualcosa, e che conservano anche una sola scintilla di Memoria.
Una Memoria antichissima che giunge a noi viaggiando attraverso il tempo, e che noi raccogliamo in noi stesse istintivamente, perché sappiamo che ci appartiene.
Le Antenate sono coloro che trasmettono la saggezza così come gli alberi spargono i loro semi e li affidano ai venti. E tutti i nuovi virgulti, le nuove foglie, i nuovi semi, mormoreranno la stessa melodia di quelli antichi. Così noi, ascoltandoli, sapremo che dovremo fare lo stesso, perché “anche nel nuovo c’è ciò di cui c’è bisogno per compiere l’Antico”. (5)
E quando avremo imparato a mormorare le antiche melodie delle nostre Antenate, il filamento sarà infine ritrovato, il tempo non sarà mai trascorso, e noi prenderemo di nuovo le loro mani fra le nostre, ristabilendo l’eterno cerchio della danza delle Donne.

Le Antenate, infine, sono la chiave che apre le porte verso il sacro, perché loro, con il loro esempio, con la loro vita, ci mostrano la Via.
Ci insegnano a Raccogliere le memorie perdute, e a Conservarle per coloro che verranno.
Ci insegnano a Ricordare e a riappropriarci dei nostri stessi Ricordi.
Perché le Antenate sono le nostre ossa, le nostre radici. E ritrovare loro è come ritrovare noi stesse.


Le Antenate e il Raccolto

Ci si potrebbe chiedere come mai le nostre Ave siano commemorate in particolar modo durante il raccolto, e le risposte possono essere diverse. In questo periodo nelle antiche culture si onorava la terra nel suo aspetto di Madre Generosa e Fruttifera, prospera di dolci frutti, di ortaggi e cereali, e benevola protettrice dei campi e dei frutteti.
Secondo la mitologia celtica il Dio solare Lugh aveva istituito una festa proprio all’inizio del raccolto per celebrare il ricordo della sua madre adottiva Tailtiu, che morì dopo aver faticato duramente per preparare le sconfinate pianure irlandesi all’agricoltura.
La festa del raccolto era dunque la festa delle madri e delle antenate, poiché ogni madre era nata da altre madri, che a loro volta erano figlie generate da madri più antiche, e tutte quante avevano preservato le divine armonie e avevano contribuito al passaggio della conoscenza e della tradizione.
Inoltre questo era anche il momento in cui, secondo alcuni miti celtici e mediterranei, la Madre divina e sua Figlia si separavano con grande rammarico di entrambe, poiché una rimaneva a vegliare sulla terra, mentre l’altra scendeva nel mondo sotterraneo. E nella lontananza, la Madre commemorava la Figlia, e la Figlia commemorava la Madre, ciclicamente separate eppure destinate a riunirsi sempre.
Anche per questo il periodo del raccolto era associato al ricordo di coloro dalle quali ci si era separati, ovvero ai profondi legami di discendenza che attraverso il tempo e lo spazio uniscono tutte le donne del passato, del presente e del futuro.

Ma forse esiste un motivo ancora più profondo che lega questo momento del ciclo annuale alle Antenate.
Nel raccolto noi cogliamo il frutto di ciò che abbiamo seminato, e quel frutto nasce da semi precedenti, i quali, procedendo a ritroso nel tempo, altro non sono che il frutto di altre semine e raccolti ancora precedenti e sempre più antichi. Cogliendo il frutto della nostra semina noi cogliamo la conoscenza dei semi del passato, poiché il Frutto è la testimonianza del perpetuarsi delle Semine, che sono legate all’origine stessa dei Semi primitivi.
E nel momento in cui, alla fine del ciclo iniziato da un seme, ritorniamo al seme nuovamente, il cerchio si chiude e noi ci riuniamo al principio. Ci riuniamo all’origine stessa da cui ha avuto inizio la trasmissione dell’essenza delle sementi più remote.

Nella natura stessa del raccolto vi è dunque la saggezza di coloro che sono venute prima, delle loro semine e dei loro raccolti che risalgono a tempi immemorabili. E la stessa cosa accade anche dentro di noi, poiché agendo nello stesso modo e raccogliendoci in noi stessi ritroviamo quella semenza profonda che credevamo perduta, ma che le buone ave hanno lasciato nelle nostre fertili terre interiori, perché la coltivassimo, la facessimo germinare e di nuovo fruttificare.
E quando raccogliamo i nostri frutti raccogliamo anche parte di loro stesse, della loro energia, della loro forza vitale e dei loro insegnamenti, che potremo – e dovremo – a nostra volta diffondere intorno a noi per coloro che verranno.
Cogliendo i semi di ciò che è stato, infatti, teniamo fra le mani, concentrato in un minuscolo granello scuro, il segreto di ciò che sarà.

Siamo legate alle nostre Antenate come il frutto al proprio seme.
Nel frutto e nel seme è racchiusa tutta la nostra Storia… e la loro.


***

Di madre in figlia possiamo risalire a tempi molto antichi e alla sapienza di chi ci ha preceduto.”

(…) possiamo ascoltare le nostre antenate e possiamo essere ascoltate da quelle che verranno dopo di noi. Ciascuna è antenata di qualcuna.”

(Sara Morace, I racconti di Domani, Prospettiva Edizioni, Roma, 2008, pag. 47)

***

(…) Sorrise e guardò per terra, ritrovando le impronte delle donne che erano state lì prima di lei.
Quanto le amava!
Non le conosceva, ma le amava e seguendo con lo sguardo le loro orme sulla terra nacque in lei un canto di gratitudine rivolto a loro, un canto che, come le lacrime, la svuotò della pece dei ricordi personali e la riempì di Ricordi più antichi e luminosi.
Chissà che vite avevano vissuto o stavano ancora vivendo.
Magari qualcuna si era sentita spaesata e isolata proprio come lei nella città e proprio come lei aveva scoperto il sentiero “per caso” (ma sentiva che nulla era mai per caso) e aveva affrontato i suoi stessi problemi, i suoi stessi dubbi e si era fermata a piangere proprio come lei e poi, dopo essersi lavata con tutte le sue lacrime aveva, come lei, gioito dell’immensa bellezza del percorso. Anche le altre donne magari si erano sentite talvolta scoraggiate, ma non avevano mai smesso di camminare, erano andate sempre avanti, come avrebbe fatto lei!
Pensando a loro, che pur non conosceva, si sentì più forte e seppe di aver trovato la sua famiglia dell’Anima. Tutte quelle donne sarebbero state con lei per sempre. Erano in lei. E anche se non le avesse mai incontrate sentiva che i loro spiriti la accompagnavano.
Seguiva le loro tracce ed era felice, felice, felice
.”

Valerie Aliberti, brano tratto dal racconto Il Sentiero Nascosto

***

Il Canto delle Antenate

Loro sono la nostra Famiglia Ancestrale.
Donne Antiche eppure vicine a noi.
Donne Libere, Selvagge, Sagge e Naturali, che dal passato ci tendono la mano.
Sono le radici Antiche e nodose piantate saldamente nella Terra umida e feconda, e nel profondo di noi stesse. Radici invisibili eppure forti e possenti da cui le giovani e nuove foglie traggono nutrimento e linfa vitale.
Furono donni forti e sapienti,
Bambine giocose, spontanee e leggere,
Fanciulle in Fiore languide e sensuali,
Giovani Donne Libere e Forti,
Madri gravide e feconde,
Mamme dolci e amorevoli.
Furono Maghe, Incantatrici, Streghe,
Furono Donne di conoscenza e sagge Anziane.
Furono Anime Luminose.
Sono Sorelle e Maestre.

Sono le Custodi della saggezza antica,
Sono Dame approdate dall'Onda,
Sono Coloro che Sorvegliano,
Sono la nostra Ancora,
Sono la nostra Salvezza,
Sono il Principio.
Rappresentano la nostra formazione, la nostra educazione. Sono la nostra Matrice.
Una Matrice che genera Ricordi, Ricordi che si fondano e si formano con la nostra Radice.
Una piacevole musica accompagnano le Onde del Mare, e si rigenerano ad ogni scroscio.
Sono le giovani Fanciulle, sono le Madri e sono le Sagge.
Sono le Grandi Matrone.
Sono affettuose e gelide nello stesso tempo.
Sono le Nove Sorelle che dimorano sull'Isola sacra.
Sono le Iniziatrici, sono Coloro che Ispirano.
Loro sono l'Inizio.
L'inizio di ogni cosa.
E l'Inizio nasce da un semplice seme, da qualcosa di così piccolo che poi si evolve…

Un dolce canto che viene dal profondo
e un amore per esse incontrollabile,
le voci si intrecciano e volano nella Nebbia,
e chi sa oltrepassarla trova il loro canto
delizioso, melodioso e così semplice da ricordare.
E una volta varcato il velo il canto permane in noi.

Sono la Crescita, l'Evoluzione.
Generano la Rinascita.
Ci chiamano col loro canto.


Alessandra Syama Perego e Simona Phoenix Nava

***

Il sorriso delle Antenate

La loro barca si allontana dalla riva di sabbia e scivola sulle acque increspate del mare, seguendo la via dorata disegnata dagli ultimi raggi di sole. Nel tramonto della loro vita remano, le Sorelle, e sorridono. I loro occhi sono sereni, e ogni ombra che un tempo li aveva velati d'inquietudine si è infine disciolta nella luce.
Remano, le Sorelle, e mentre remano cantano, e il ritmo del loro remare è il ritmo del loro canto. Un canto d'addio alle terre conosciute. Eppure non malinconico… la sua melodia è incantevole…
Remano, le Sorelle, e cantano, e sorridono. Gli occhi volti a ovest, al sole lucente che cala oltre la linea delle acque lontane e indica loro la strada.
Alcune sorelle immergono una mano nell'acqua che scorre loro accanto… oltre la via dorata disegnata dall'ultimo sole, il mare è d'argento. Il gorgogliare dell'acqua spinta dai remi e trattenuta dalle loro mani è talmente dolce che le Sorelle si lasciano incantare. Alcune chiudono gli occhi… e sorridono…
I loro abiti sono del colore della notte, dell'ignoto, del mistero inconoscibile… Un mistero che loro conoscono, per questo ne portano il segno. Viaggiano, le Sorelle… e remano, e cantano.
Scivolano leggere verso l'Isola Sacra, l'Isola dei Meleti, luogo in cui le anime riposano dopo le difficoltà della Vita vissuta.
La loro, si è conclusa… i loro occhi si sono chiusi, le loro voci hanno taciuto, la loro fiamma si è spenta.

Ma noi le ricordiamo. Noi che le vediamo allontanarsi dalla riva di sabbia delle nostre terre conosciute, con gli occhi umidi e il cuore pieno d'amore per loro.
Noi le vediamo andar via per sempre, e nonostante la nostalgia, sorridiamo…
Le cercheremo nelle vie segrete che loro hanno tracciato, e ritroveremo gli insegnamenti antichi che ci hanno affidato.
E quando scompariranno oltre la linea delle acque lontane, canteremo un canto d’addio per loro. Eppure non malinconico… la sua melodia è incantevole…

Le ricordiamo e sempre le ricorderemo, noi, che siamo la loro Discendenza.

Loro, le Antenate, lo sanno… e nell'ultimo istante, prima di fondersi alla luce più grande, volgono gli occhi a noi che le guardiamo… e sorridono…


Laura Violet Rimola

***

(…) la Donna di Rame disse a Hai Nai Yu che la saggezza doveva sempre essere tramandata alle donne e le ricordò che, qualunque fosse il colore della pelle, tutta la gente proveniva dallo stesso sangue e che il sangue è sacro. Disse che sarebbe arrivato un tempo in cui la saggezza sarebbe quasi scomparsa, ma non sarebbe mai svanita, ed ogni volta che ce ne fosse stato bisogno, sarebbe stato trovato un modo per ripresentarla alle donne, ed esse avrebbero potuto quindi decidere se la volevano imparare o no. E Hai Nai Yu promise che quando fosse giunto per lei il Tempo avrebbe fatto in modo che ci fosse qualcuna in grado di sostituirla come guardiana della saggezza.
La Donna di Rame avvertì Hai Nai Yu che il mondo sarebbe cambiato e sarebbero potuti arrivare tempi in cui il Conoscere non sarebbe stato lo stesso che il Fare. E le disse che il Provare sarebbe stato molto importante.
(…) Poi camminò fino alla spiaggia, sedette sola ed aspettò finché il sole non tramontò e la luna non fu alta nel cielo tingendo le onde d’argento. Allora si alzò, disse le parole, cantò i canti, danzò le danze, recitò le preghiere agli Dei.
Quindi lasciò la sua carne nel suo sacco di pelle, portò con sé le sue ossa e divenne uno spirito. Divenne la Donna Antica.


Anne Cameron, Le Figlie della Donna di Rame, Edizioni della Terra di Mezzo, Milano, 2000, pagg. 51-52

***

Note:

1. Cfr. Anne Cameron, Le Figlie della Donna di Rame, Edizioni della Terra di Mezzo, Milano, 2000, pp. 15-25, 52

2. Segue un breve approfondimento della figura antichissima e tipicamente celtica delle Matres, o Matronae: “Esse nacquero in un’epoca in cui le donne coltivavano la terra e la Terra era una divinità il cui culto veniva officiato da sacerdotesse.
Ma, nel corso del tempo le Matres rivestirono nuove funzioni. È possibile che dee fluviali e simili non siano che dee madri, le cui funzioni si sono specializzate. Troviamo le Matres come protettrici di individui, di famiglie, di case, di città, di una provincia o di un’intera nazione, come attestano i loro epiteti nelle iscrizioni. Le Matres Domesticae sono divinità della casa; le Matres Treverae o Gallaicae o Vediantae sono le madri di Trèves, dei Gallaecae, dei Vediantii; le Matres Nemetiales sono protettrici dei boschi sacri. Oltre a presiedere ai campi come Matres Campestrae, esse portavano prosperità alle città e alle genti. Proteggevano le donne, soprattutto durante il parto, come attestano gli ex voto e, sotto questo aspetto, sono affini alle Junones venerate anche in Gallia e Britannia. Così il nome venne esteso genericamente a molte dee, ma tutte comunque discendenti in linea diretta dalla Madre Terra primordiale.

(J.A. MacCulloch, La religione degli antichi Celti, Vicenza, Neri Pozza, 1998, p. 59).

E ancora: [Deae Matres] “Other epithets denote the special protective relation of the goddesses to individual dedicants or their families ; for example, ‘mese,’ ‘suae,’ ‘paternae,’ ‘maternee,’ ‘domesticse,’ ‘trisavse,’ ‘conservatrices,’ ‘indulgentes’.”
(Encyclopaedia of Religion and Ethics, a cura di James Hastings, Volume IV, New York, Charles Scribner’s Sons, s.d., p. 409)

3. Jhenah Telyndru, Avalon Within: Inner Sovereignty and Personal Transformation Through the Avalonian Mysteries, BookSurge Publishing, 2004, pag. 158.
Modron è il nome della Dea Madre gallese. La parola Modron significa letteralmente “Madre”.

4. Il termine “antenato” deriva dal latino antenàtus, composto da ante, “avanti”, e natus, “nato”, ad indicare “quegli che è nato avanti di noi, senza riguardare se da lui siamo stati o no procreati.” (Cfr. Ottorino Pianigiani, Dizionario etimologico della lingua italiana)

5. Anne Cameron, Le Figlie della Donna di Rame, Edizioni della Terra di Mezzo, Milano, 2000, pag. 19

Bibliografia

Cameron Anne, Le Figlie della Donna di Rame, Edizioni della Terra di Mezzo, Milano, 2000
Encyclopaedia of Religion and Ethics, a cura di James Hastings, Volume IV, New York, Charles Scribner’s Sons, s.d.
Fattore Roberto, Feste Pagane, Macroedizioni, Diegaro di Cesena (FC), 2004
MacCulloch J. A., La religione degli antichi Celti, Vicenza, Neri Pozza, 1998
Morace Sara, I racconti di Domani, Prospettiva Edizioni, Roma, 2008
Pianigiani Ottorino, Dizionario etimologico della lingua italiana - http://www.etimo.it
Telyndru Jhenah, Avalon Within: Inner Sovereignty and Personal Transformation Through the Avalonian Mysteries, BookSurge Publishing, 2004
I Meli di Avalon, gruppo di studio sulla Tradizione Avaloniana, e sui Miti, Leggende, e Fiabe Celtici legati alla simbologia di Avalon, http://it.groups.yahoo.com/group/imelidiavalon/

© I Meli di Avalon 2011-2020
Testi e ricerche di Alessandro Zabini, Anya, Daevayasna, Diana Misaela Conti, Elena Euphorbia Ziglio, Fulvia Fairymoon Barberis, Alessandra Syama Perego, Valerie Aliberti, Miriam Vianne Morales e Laura Violet Rimola. A cura di Laura Violet Rimola.
La ricerca è stata svolta all’interno della mailing list I Meli di Avalon, http://it.groups.yahoo.com/group/imelidiavalon/.
Nessuna parte di questo testo può essere riprodotta o utilizzata in alcun modo e con alcun mezzo senza il permesso scritto delle autrici.

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